Come si
scrive il bergamasco in ortografia classica secondo le regole della Grafia
Classica Riformata del Belloveso?
Partendo come
base dalla ortografia in utilizzo corrente nella provincia di Bergamo,
distinguiamo inanzitutto le vocali:
La ü,
nota anche come “u lombarda”, si scrive semplicemente “u” e può
essere accentata (es. uno lo scriviamo un / ù). È difatti un
assurdo pretendere di voler mettere dieresi. Il suono naturale del lombardo per
l’equivalente “u” italiano è la “u lombarda”. Pensiamo a: tutti > tucc ; unico
> unegh ; ecc.
La ö si
scrive in due modi, eu e œu, a seconda della sua etimologia,
ovvero se deriva da /u/ scriviamo /eu/ e se deriva da /o/ scriviamo /oeu/
(es. tutti lo scriviamo teucc, cuore lo
scriviamo cœur). La necessità della “eu” è per via del fatto che l’uso
corrente del bergamasco abbia di fatto perso il distinguo tra la “oeu” e la “u”.
Spesso dove in milanese troviamo “u” vediamo il bergamasco rispondere con “oeu”.
Pensiamo a: tucc > teucc ; unegh > eunegh ; ecc.. Questo uso tuttavia è
vernacolo, non è colto. Il Don Giuseppe Rota ancora scriveva “tucc”. Si
consideri anche il fatto che in milanese “tucc” non ha lo stesso valore di “vun”
(uno) dove il bergamasco risponde con “u”. Infatti tucc ha sillaba chiusa,
ossia finisce in consonante, mentre vun finisce con nasale (la “n” ha valore di
nasalizzazione e non di vera e propria consonante pura). La pronuncia di “tucc”
anche in milanese tende ad essere chiusa, quasi come fosse “oeu”. Quel “quasi”
ormai a Bergamo si è perso, diventando un “vero e proprio”, da cui necessita
scriverlo un vero e proprio “oeu”, che però per differenziare l’etimologia
conviene scrivere “eu”. Infatti, per tutte le parole in “oeu” si deriva da una “o”
iniziale e non da una “u”. Si pensi a: cuore = coeur ; foglia = foeuja ; occhio
= oeucc ; su = seu ; tutti = teutt
La u,
nota anche come “u latina o italiana”, si scrive ou e può essere
accentata (es. davvero? lo scriviamo del boù?). Esiste anche
utilizzo di ó e ô in situazioni particolari, ma conviene quasi sempre
scrivere “ou”. Questo è necessitato dal fatto che in bergamasco, a differenza
del milanese, si mantiene la pronuncia della “o chiusa” italiana. Si pensi a:
ostaria! (/u/ italiana in milanese) = ostaria (o chiusa in bergamasco) ; però:
lavor / laor = lavour / laour (si legge sempre /laur/ in entrambi i dialetti).
La é, o
“e chiusa”, la scriviamo semplicemente “e” a meno che non vi cada
l’accento tonico o ci sia una costruzione particolare (es. è lui? lo
scriviamo él lu?). Non ha alcun valore reale questo accento se non
di distinguo. Sarebbe in realtà meglio mantenere l’equivalente al
milanese, per evitare distinzioni inutile. In milanese abbiamo: eel lù? (dove “ee”
indica la “e chiusa” leggermente allungata in pronuncia). Quindi, nell’uso
colto, preferiamo: è lui! = l’è lù! ; è lui? = eel lù?
La è, o
“e aperta”, la scriviamo uguale, ma non è sempre necessario segnarla in base al
contesto consonantico (es. sette lo scriviamo sett e
non sèt). Questo accento non segnala necessariamente una "e
aperta" siccome può variare da dialetto a dialetto, è da utilizzarsi più
che altro come distinguo anche in questo caso. L’uso colto comunque
richiederà la “e aperta” anche in pronuncia. Il fatto di scrivere le doppie
consonanti ha valore non soltanto etimologico, quindi, come sostiene qualcuno,
ma ha un vera e propria funziona anche in pronuncia. Un lombardo infatti non
pronuncia alla stessa maniera “sei” (verbo) e “sette” (numero): “te set” / “sett”.
Nota bene che comunque “te set” lo scriveremo “te seet” per coerenza con il
milanese, e perché comunque sarebbe giusto allungare leggermente la pronuncia
di quella “e”. Il “sett” invece ha una “e aperta” e pure corta, la “t” suona
come seguente quasi una piccola pausa: “sè-t”.
La i e
la a rimangono inalterate, tranne che nel caso di j, o “i lunga
o semiconsonantica”, che utilizziamo quando va a sostituire l’equivalente “gli”
italiano (es. luglio lo scriviamo leuj e non löi).
Utilizziamo la j anche in alcuni plurali, solo se cade accento tonico
finale (es. i fili i fij , i figli i fioeui , i belli i
bej). La j nel caso di plurali rimane comunque una scelta
stilistica arcaizzante, mentre nel caso di sostituzione all'equivalente
"gli" italiano rimane una scelta di buona grammatica. Possiamo quindi
tranquillamente scrivere: i fii, i fioeui, i bei.
Nota bene che in questo caso è necessario “creare una regola” di pronuncia,
dove quando si ha una “i finale” (di plurale) la vocale precedente si apre.
Ossia, si dice “bè-i” e non “bé-i”.
Esiste possibilità di utilizzo delle dieresi in casi particolari (es. ë,
ä, ü) ma lasciamo stare per il momento.
Per tutte le
vocali e gruppi vocalici è previsto l'utilizzo dell'accento circonflesso, ad
es. â, oû, se ritenuto necessario. Noi riteniamo sia meglio utilizzarlo
solo in mezzo alla parola e non alla fine, e comunque che segnali sempre una “n”
nasale caduta, e non altre consonanti. Per cui: il ponte = ol poût ; il monte =
ol moût ; ma: secessione = secessioù ; davvero? = del boù?
Riguardo una
consanante, la più controversa, la Z, non ci sentiamo al momento di pronunciarci.
È meglio scrivere: canzone = cansoù , oppure, canzoù? Ma poi, scriviamo: reazione
= reassioù, oppure, reazioù? O, addirittura, reazzioù? Ad ogni modo, argomento rimandato.
[...]
L'articolo
va aggiornato con molti altri contenuti, tra cui le consonanti e gli accenti,
ma ad ogni modo con le regole sulle vocali si ha già risolto la grande
maggioranza delle questioni più importanti.